Durante il 2006, dopo anni di ricerche, sono stata messa in ginocchio o meglio, “alla prova”.
Il famoso neurinoma per il quale ero stata tranquillizzata, si è ingrossato, al punto tale che mi hanno vivamente consigliato una radioterapia. Unica alternativa l’operazione, con enormi possibilità di perdere l’udito dalla parte destra e la paralisi totale della faccia dalla stessa parte ed io, che già sono sorda dalla parte sinistra, non me la sono sentita di rischiare.
Mi sono recata a Losanna per fare questo intervento assolutamente tranquillamente. Ennesima risonanza magnetica prima dei raggi e … si scopre che in effetti avevo un’infiammazione in corso, una placca accesa! La cosa migliore sarebbe stata posticipare l’intervento ma, nessuno me lo ha detto e pertanto mi sono sentita fiduciosa.
Scarica di raggi sul neurinoma il 23 febbraio e il 15 marzo, alzandomi dalla scrivania dove stavo lavorando al computer mi avvio verso la camera ma, comincio a sbandare paurosamente, l’impressione è stata che le pareti si muovessero ma, mi ci sono comunque dovuta appoggiare per non cadere.
Mi corico un po’ preoccupata ma, come sempre, sicura che fosse dovuto alla stanchezza e decido di sospendere per qualche giorno con il computer.
Sono stata un’illusa.
Nel giro di due giorni avevo completamente perso l’udito dalle due parti. La vista, oltre a essere calata paurosamente, mi si incrociava, non potevo più mettere a fuoco niente. Ho perso la facoltà di scrivere, persino di poter firmare un qualsiasi documento, anche sulla tastiera potevo, concentrandomi e con una notevole difficoltà, battere una lettera alla volta! Mi hanno dovuto prescrivere due apparecchi acustici e un bastone per camminare perché cadevo se non avevo pareti alle quali appoggiarmi. Degli amici facevano a turno per venire a lavarmi e per pulirmi la casa. Il mio compagno mi cucinava la sera quello che avrei potuto scaldare per il pranzo del giorno dopo. Mia figlia non poteva toccarmi se non quando ero seduta, impensabile abbracciarla stando in piedi, sarei caduta mettendo in pericolo anche il suo corpicino. Si è completamente paralizzata l’intera faccia dalla parte destra, storgendomela al punto tale che la bocca era diventato un ghigno pauroso e dovevo mangiare con un tovagliolo sotto il mento se no cadeva il cibo al suolo, ma, la cosa più dolorosa era il fuoco che avevo sotto la guancia destra. Davvero difficile da sopportare, c’era sempre, mi impediva di riposare di connettere in generale da tanto era doloroso.
Mi coricavo con le verze bollite sulla guancia sperando ogni volta che dopo sarebbe andato meglio ma, per oltre quattro mesi, non è stato il caso.
Il neurologo che mi ha in cura si era talmente spaventato dalla portata della crisi che mi ha ricoverato per 10 giorni somministrandomi dosi talmente alte di cortisone che, ho cominciato a gonfiarmi e ad ingrassare a dismisura anche perché, per accrescere la produzione di endorfine e non cedere alla depressione, mi mangiavo pacchi di cioccolata ogni giorno.
Fino a che è arrivata la data prevista per la partenza delle vacanze prenotate quando ancora stavo bene e, contro il parere del mio medico, ho deciso comunque di partire.
Quando sono arrivata a Ravenna e mi sono accorta che dall’albergo al mare c’erano circa 100 metri da percorrere in mezzo alle sdraio, su una passerella, mi sono data dell’incosciente, come avrei superato quei 100 metri ogni giorno? Avevo quindi deciso di passare le vacanze in camera se non ch’è mi feci accompagnare dal mio compagno il primo giorno almeno davanti al mare completamente vestiti e lì successe quello che anelavo da mesi e che si collega direttamente alle ricerche che svolgevo da anni su di me e sull’universo in generale e per le quali usavo la malattia ma, solo in quel momento ne avevo colto il messaggio che, durante quella particolare crisi, mi stava lanciando.
Infatti, seduta sulla battigia davanti al mare, ho tolto le scarpe e ho cominciato a respirare il profumo salmastro, mi lasciavo accarezzare le dita dei piedi dalle onde e ne ascoltavo il dolce rumore ma, in effetti, ero PRESENTE NELL’ISTANTE CHE STAVO VIVENDO e noi non siamo mai presenti, o proiettati nel futuro o nel passato, mai chiaramente come in quell’istante, mi sono sentita parte di tutto questo, stavo respirando e avevo ancora il mio corpo, unica mia ricchezza ma, capirlo così profondamente mi ha dato la forza di alzarmi e di ringraziare ancora una volta quest’attacco che tanto mi aveva mostrato. Avevo già capito durante questi mesi di quando inutile fosse la ricchezza materiale, che cosa potesse regalarti in più di quello che già ti necessitava per goderti ogni istante?
Un corpo che respira perché, quando cessa di farlo, non sarai più partecipe di tutte le piccole meraviglie che il mondo ti offre ma, soprattutto, saper cogliere il momento presente!
Grazie a questa nuova consapevolezza, quella sera ho abbandonato il bastone, mi sono goduta le vacanze, facevo la gimcana tra i tavoli con i piatti del buffet in mano ma, più importante di tutto, il giorno dopo sono entrata in acqua sentendo questa che mi accarezzava il corpo e FINALMENTE, ho potuto prendere mia figlia tra le braccia! Ci siamo messe a piangere tutte e due perché finalmente ci potevamo stringere!
Non c’è come perdere tutti i sensi per capire quanto questi siano un dono che non va’ assolutamente sottovalutato ma usato per riuscire a godere di tutto quanto ci circonda ma, se mentre stiamo camminando in un bosco pensiamo alla cena organizzata per quella sera, cosa avremo colto del bosco? Del terreno sotto i piedi? Dei profumi che ci circondano? Dei colori delle foglie?
Avevo recepito il messaggio che la malattia mi voleva portare e da quel giorno è iniziata la ripresa e nel giro di pochissimo tempo ho recuperato tutto a parte la proverbiale stanchezza dalla quale sono uscita grazie a dei prodotti che mi hanno aiutata e continuano a farlo !!!!!!!!!!!!!
sabato 20 ottobre 2007
lunedì 8 ottobre 2007
L'inizio della crescita
Come e quando mi è stata diagnosticata la malattia l’ho già scritto, ora spiego come e quando ho cominciato ad usarla!
Dopo la diagnosi il periodo piu' buio della mia vita....perche' grazie alle radiografie che mi hanno indicato le placche nel cervello si e' capito che ero ammalata da almeno 15 anni senza che me ne fossi accorta....e quando la malattia si e' mossa la mia vita si e' sbriciolata davanti ai miei occhi nel giro di pochissimi mesi.
Dopo nemmeno quattro mesi dalla diagnosi sono rimasta incinta
A causa della paura del futuro ,date le mie condizioni, ho istintivamente rifiutato la mia piccolina.
Mi sono avvicinata a Ottopassi quando la mia bimba aveva 15 mesi.. perche' stavo male ( per evitare di suicidarmi, dovevo reagire ...volevo essere madre e volevo vivere accanto a mia figlia).
Un primo appuntamento con Edera per la diagnosi fisica ed emotiva.....Edera mi ha ispirato fiducia come solo chi l'ha conosciuta puo' capire e cosi' mi sono iscritta al primo seminario, l'Allineamento, dove , per la prima volta, mi sono trovata ad affrontare la rigidita' del mio corpo, dei miei pensieri e poter creare il collegamento tra questo e la malattia.
Prima della diagnosi, le mie insofferenze e le mie domande cercavano risposte nella droga , droga pesante, ma, dopo questo seminario ho capito quale fosse il cammino giusto per ritrovare me stessa, la mia salute, le mie risposte e mia figlia.
Il mio cammino e' cominciato li'.
Una settimana dopo il primo seminario mi sono iscritta al corso per diventare operatrice di Ottopassi e da quel giorno ho usato la malattia per conoscermi, per capire , attraverso i dolori e gli handicap, quali fossero i miei limiti (e non solo quelli fisici) .
Ho deciso in piena coscienza di interrompere le cura, sia con l'Interferone che con il Cortisone e posso dire che i miei sforzi sono stati premiati.
Ho creato un bellissimo rapporto con la mia bambina e, grazie alla malattia, non mi permetto mai di dimenticare che il cammino, per quanto in salita, vale la pena di essere percorso, perche' e' il mio ed e' scelto. Mi sono presa la responsabilita' delle mie azioni, ho imparato a scegliere cosa volevo davvero e a non essere vittima ma creatrice della mia esistenza.
Non sono l'unica ad aver intrapreso questo cammino e percio' chi come me e' portatore di handicap, si rende quotidianamente conto di quale grande Alleata sia la malattia, di come possa fornirci il metro di misura con cui valutare l'importanza delle nostre scelte e delle nostre esperienze....una diversa considerazione della malattia mi ha portato a vivere la vita, imparando ad ascoltare i segnali del corpo e come il non agire concretamente porti inevitabilmente ad un riflesso ed ad un disequilibrio fisico.
Oggi mi muovo tranquillamente, cammino tranquillamente, tengo in braccio mia figlia, ho stabilizzato la vista e sto migliorando moltissimo.
Le placche determinano un irrigidimento ed una "non risposta" fisica ai comandi cerebrali e noi abbiamo riscontrato come questo sia determinato dalle non azioni e dalle non scelte che si sono fatte nella vita.
La difficolta' a cambiare , a scegliere ad assumersi la responsabilita' delle proprie scelte indicano la strada al nostro essere ed al nostro corpo .
Il cervello registra l'ordine "non devi muoverti" e lo trasmette al corpo che diligentemente lo esegue.
Questo significa che chi soffre di sclerosi e' inevitabilmente una persona rigida, fissa nelle sue convinzioni e non disposta a cambiare cio' che dice di essere.
Dopo la diagnosi il periodo piu' buio della mia vita....perche' grazie alle radiografie che mi hanno indicato le placche nel cervello si e' capito che ero ammalata da almeno 15 anni senza che me ne fossi accorta....e quando la malattia si e' mossa la mia vita si e' sbriciolata davanti ai miei occhi nel giro di pochissimi mesi.
Dopo nemmeno quattro mesi dalla diagnosi sono rimasta incinta
A causa della paura del futuro ,date le mie condizioni, ho istintivamente rifiutato la mia piccolina.
Mi sono avvicinata a Ottopassi quando la mia bimba aveva 15 mesi.. perche' stavo male ( per evitare di suicidarmi, dovevo reagire ...volevo essere madre e volevo vivere accanto a mia figlia).
Un primo appuntamento con Edera per la diagnosi fisica ed emotiva.....Edera mi ha ispirato fiducia come solo chi l'ha conosciuta puo' capire e cosi' mi sono iscritta al primo seminario, l'Allineamento, dove , per la prima volta, mi sono trovata ad affrontare la rigidita' del mio corpo, dei miei pensieri e poter creare il collegamento tra questo e la malattia.
Prima della diagnosi, le mie insofferenze e le mie domande cercavano risposte nella droga , droga pesante, ma, dopo questo seminario ho capito quale fosse il cammino giusto per ritrovare me stessa, la mia salute, le mie risposte e mia figlia.
Il mio cammino e' cominciato li'.
Una settimana dopo il primo seminario mi sono iscritta al corso per diventare operatrice di Ottopassi e da quel giorno ho usato la malattia per conoscermi, per capire , attraverso i dolori e gli handicap, quali fossero i miei limiti (e non solo quelli fisici) .
Ho deciso in piena coscienza di interrompere le cura, sia con l'Interferone che con il Cortisone e posso dire che i miei sforzi sono stati premiati.
Ho creato un bellissimo rapporto con la mia bambina e, grazie alla malattia, non mi permetto mai di dimenticare che il cammino, per quanto in salita, vale la pena di essere percorso, perche' e' il mio ed e' scelto. Mi sono presa la responsabilita' delle mie azioni, ho imparato a scegliere cosa volevo davvero e a non essere vittima ma creatrice della mia esistenza.
Non sono l'unica ad aver intrapreso questo cammino e percio' chi come me e' portatore di handicap, si rende quotidianamente conto di quale grande Alleata sia la malattia, di come possa fornirci il metro di misura con cui valutare l'importanza delle nostre scelte e delle nostre esperienze....una diversa considerazione della malattia mi ha portato a vivere la vita, imparando ad ascoltare i segnali del corpo e come il non agire concretamente porti inevitabilmente ad un riflesso ed ad un disequilibrio fisico.
Oggi mi muovo tranquillamente, cammino tranquillamente, tengo in braccio mia figlia, ho stabilizzato la vista e sto migliorando moltissimo.
Le placche determinano un irrigidimento ed una "non risposta" fisica ai comandi cerebrali e noi abbiamo riscontrato come questo sia determinato dalle non azioni e dalle non scelte che si sono fatte nella vita.
La difficolta' a cambiare , a scegliere ad assumersi la responsabilita' delle proprie scelte indicano la strada al nostro essere ed al nostro corpo .
Il cervello registra l'ordine "non devi muoverti" e lo trasmette al corpo che diligentemente lo esegue.
Questo significa che chi soffre di sclerosi e' inevitabilmente una persona rigida, fissa nelle sue convinzioni e non disposta a cambiare cio' che dice di essere.
La diagnosi
Ero una bambina quando, non mi ricordo dove, seduta su un divano guardavo la televisione. C’era un film con Raquel Welch, era in bagno e ad un tratto è caduta per terra, non riusciva più ad alzarsi e nessuno che l’aiutasse. Per uscire dal bagno ha dovuto trascinarsi con l’aiuto delle braccia. Poi mi ricordo la scena di lei nel letto di un ospedale e, in quell’occasione ho sentito parlare per la prima volta di sclerosi multipla. Da quel momento per me è stata in assoluto la malattia più grave e crudele perché invece di portarti via in un attimo o in poco tempo, nella mia testa si “divertiva” ad invalidarti piano piano, come una tortura.
Anni dopo, stavo lavorando molto, ero sommersa di responsabilità e, un giorno, dopo il pranzo, mi sono alzata dalla sedia con il vassoio del piatto e nella mia testa mi sono avviata alla cucina ma, le gambe sono rimaste ferme e il vassoio ha rischiato di cadere. E’ durato poco e l’ho subito archiviato. Poi mi è successo una seconda volta, una terza, ne ho parlato con i medici con cui lavoravo ai tempi e mi hanno spiegato che poteva essere la stanchezza. E’ successo una quarta volta e mi sono chiusa a piangere nel mio ufficio, è entrata una dottoressa in quel momento. Mi ha fatto camminare appoggiando un piede davanti all’altro, seguendo una linea immaginaria, ad occhi aperti, tutto bene, poi ad occhi chiusi, sono caduta. Ha telefonato ad un suo collega neurologo e grazie a lei ho ottenuto un appuntamento per la settimana dopo. La visita, la spiegazione dei sintomi, una proposta per una risonanza magnetica, la visita in una clinica per la risonanza magnetica e poi l’attesa dei risultati. Nel frattempo ho continuato a vivere normalmente. Stavo bene. Un fine settimana di formazione a Losanna dove, a causa della neve, ho dovuto macinare chilometri a piedi e mi ricordo di essermi detta che decisamente era solo la stanchezza, le mie gambe stavano marciando bene.
Al rientro sul lavoro, un lunedì, sono stata chiamata dalla dottoressa per un caffè. Mi sembrava imbarazzata, cercava di spiegarmi qualche cosa ma non riuscivo ad afferrare. Mi disse di aver parlato con il neurologo, che nel frattempo mi aveva già cercata e che avrei visto di lì ad un’ora, ma non mi disse molto di più, mi parlò di un neurinoma, tumorino benigno, vicino all’orecchio ma, disse anche che lo avevano in molti, che non era grave.
Quando sono arrivata dal medico mi parlò anche lui di questo neurinoma rassicurandomi. Mi prescrisse però anche una serie di esami per quello stesso pomeriggio che, affrontai molto tranquillamente, mi avevano già rassicurata riguardo il mio problema.
Gli esami. Una punzione lombare, i potenziali evocati, il ritorno nel letto in attesa del medico.
E’arrivato il medico: “Signora, mi dispiace, era solo un sospetto ma, purtroppo gli esami di oggi hanno confermato la nostra diagnosi, lei, è affetta da sclerosi multipla”, non sappiamo ancora quale forma l’abbia colpita ma, prima di lasciarla rientrare vorremmo che iniziasse una serie di infusioni di cortisone e, per i prossimi quattro giorni dovrà tornare a fare queste infusioni.
Non ho pianto, mi avevano appena comunicato il terrore di una vita e io ricordo di essermi preoccupata di nascondere tutta la mia paura, la mia sofferenza, ero annientata e mi preoccupavo di non mostrarlo.
Ho chiesto alcune informazioni all’infermiera, che molto gentilmente mi ha consegnato un foglio con l’indirizzo di un’antenna, un ente preposto ad informare e aiutare gli ammalati e, quello di un rivenditore di sedie a rotelle.
Sul foglio c’era la foto di un ammalato sulla sedia a rotelle che sorrideva.
I miei genitori, convinti sicuramente che fosse per il mio bene, per anni mi hanno tartassato dicendomi che da me non si aspettavano altro che dispiaceri spronandomi a cercare di migliorare e, quindi, mi sono sentita molto in colpa di essermi ammalata. Come se qualche cosa che avevo fatto aveva scatenato la malattia e, siccome era la malattia che più temevo, dovevo davvero aver fatto qualche cosa di molto grave. Inizialmente, l’ho vissuta quindi come una punizione. Forse, proprio per questo, per tanto tempo, ho impedito a chi lo sapeva di dirlo, non volevo che si sapesse.
E’ iniziato un periodo buio. Di ricerche e di domande senza risposte. Nessuno sapeva niente, nessuno la conosceva abbastanza.
Mi ero gonfiata talmente tanto a causa del cortisone che non riuscivo più a parlare, la mia voce la sentivo risuonare all’interno, come se non riuscisse ad uscire e quindi mi vergognavo, avevo paura che non mi si capisse, non volevo più vedere e parlare con nessuno.
Poi ho deciso di combattere per uscire da questo stato, per capire che cosa mi volesse dire questa malattia, che cosa mi stesse segnalando.
Ho scelto coscientemente di non curarmi con i medicamenti consigliatimi e di non ricorrere al cortisone ogni volta che si manifesta proprio per studiarla, per non rifiutarla.
Grazie al fatto che sia un’incognita, che non ti permetta mai di pensare di esserne guarita, è diventata una compagna di viaggio, un’alleata da studiare invece che da scacciare.
Anni dopo, stavo lavorando molto, ero sommersa di responsabilità e, un giorno, dopo il pranzo, mi sono alzata dalla sedia con il vassoio del piatto e nella mia testa mi sono avviata alla cucina ma, le gambe sono rimaste ferme e il vassoio ha rischiato di cadere. E’ durato poco e l’ho subito archiviato. Poi mi è successo una seconda volta, una terza, ne ho parlato con i medici con cui lavoravo ai tempi e mi hanno spiegato che poteva essere la stanchezza. E’ successo una quarta volta e mi sono chiusa a piangere nel mio ufficio, è entrata una dottoressa in quel momento. Mi ha fatto camminare appoggiando un piede davanti all’altro, seguendo una linea immaginaria, ad occhi aperti, tutto bene, poi ad occhi chiusi, sono caduta. Ha telefonato ad un suo collega neurologo e grazie a lei ho ottenuto un appuntamento per la settimana dopo. La visita, la spiegazione dei sintomi, una proposta per una risonanza magnetica, la visita in una clinica per la risonanza magnetica e poi l’attesa dei risultati. Nel frattempo ho continuato a vivere normalmente. Stavo bene. Un fine settimana di formazione a Losanna dove, a causa della neve, ho dovuto macinare chilometri a piedi e mi ricordo di essermi detta che decisamente era solo la stanchezza, le mie gambe stavano marciando bene.
Al rientro sul lavoro, un lunedì, sono stata chiamata dalla dottoressa per un caffè. Mi sembrava imbarazzata, cercava di spiegarmi qualche cosa ma non riuscivo ad afferrare. Mi disse di aver parlato con il neurologo, che nel frattempo mi aveva già cercata e che avrei visto di lì ad un’ora, ma non mi disse molto di più, mi parlò di un neurinoma, tumorino benigno, vicino all’orecchio ma, disse anche che lo avevano in molti, che non era grave.
Quando sono arrivata dal medico mi parlò anche lui di questo neurinoma rassicurandomi. Mi prescrisse però anche una serie di esami per quello stesso pomeriggio che, affrontai molto tranquillamente, mi avevano già rassicurata riguardo il mio problema.
Gli esami. Una punzione lombare, i potenziali evocati, il ritorno nel letto in attesa del medico.
E’arrivato il medico: “Signora, mi dispiace, era solo un sospetto ma, purtroppo gli esami di oggi hanno confermato la nostra diagnosi, lei, è affetta da sclerosi multipla”, non sappiamo ancora quale forma l’abbia colpita ma, prima di lasciarla rientrare vorremmo che iniziasse una serie di infusioni di cortisone e, per i prossimi quattro giorni dovrà tornare a fare queste infusioni.
Non ho pianto, mi avevano appena comunicato il terrore di una vita e io ricordo di essermi preoccupata di nascondere tutta la mia paura, la mia sofferenza, ero annientata e mi preoccupavo di non mostrarlo.
Ho chiesto alcune informazioni all’infermiera, che molto gentilmente mi ha consegnato un foglio con l’indirizzo di un’antenna, un ente preposto ad informare e aiutare gli ammalati e, quello di un rivenditore di sedie a rotelle.
Sul foglio c’era la foto di un ammalato sulla sedia a rotelle che sorrideva.
I miei genitori, convinti sicuramente che fosse per il mio bene, per anni mi hanno tartassato dicendomi che da me non si aspettavano altro che dispiaceri spronandomi a cercare di migliorare e, quindi, mi sono sentita molto in colpa di essermi ammalata. Come se qualche cosa che avevo fatto aveva scatenato la malattia e, siccome era la malattia che più temevo, dovevo davvero aver fatto qualche cosa di molto grave. Inizialmente, l’ho vissuta quindi come una punizione. Forse, proprio per questo, per tanto tempo, ho impedito a chi lo sapeva di dirlo, non volevo che si sapesse.
E’ iniziato un periodo buio. Di ricerche e di domande senza risposte. Nessuno sapeva niente, nessuno la conosceva abbastanza.
Mi ero gonfiata talmente tanto a causa del cortisone che non riuscivo più a parlare, la mia voce la sentivo risuonare all’interno, come se non riuscisse ad uscire e quindi mi vergognavo, avevo paura che non mi si capisse, non volevo più vedere e parlare con nessuno.
Poi ho deciso di combattere per uscire da questo stato, per capire che cosa mi volesse dire questa malattia, che cosa mi stesse segnalando.
Ho scelto coscientemente di non curarmi con i medicamenti consigliatimi e di non ricorrere al cortisone ogni volta che si manifesta proprio per studiarla, per non rifiutarla.
Grazie al fatto che sia un’incognita, che non ti permetta mai di pensare di esserne guarita, è diventata una compagna di viaggio, un’alleata da studiare invece che da scacciare.
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